Gaudì, genio o pazzo?

Gaudí_(1878)
«Un genio o un pazzo?» fu la domanda del preside della Scuola di Architettura nel momento di assegnare il titolo accademico al giovane Gaudí nel 1878. Per realizzare il suo sogno di fare una nuova architettura, Gaudí dovette predisporre la tecnologia, il metodo e la squadra. E un socio investitore che la rendesse materialmente possibile, che trovò nell’amico, industriale, politico e colto mecenate, il conte Eusebi Güell. Tra di loro si stabilì un sodalizio fondato sulla reciproca amicizia e influenza. Innovazione e progetto furono per loro non solo una sfida artistica, ma un impegno civile, nazionale, sociale.
L’architettura di Gaudí, da un punto di vista strutturale, è basata sulle superfici rigate (paraboloidi, iperboloidi, paraboloidi iperbolici, conoidi, ellissoidi, elicoidi) che alla fine del XIX secolo nessuno aveva ancora utilizzato. Le forme basate sulle superfici rigate consentivano il risparmio di materiale, la rapidità costruttiva e una maggior stabilità meccanica. Gli spazi ottenuti erano più ampi e luminosi. Tra le sue audaci invenzioni, vi furono le colonne inclinate e quelle a doppio giro, l’uso funzionale e decorativo dei geminati e delle forme poliedriche, l’applicazione delle proporzioni pitagoriche. La decorazione degli edifici, abbondante e colorata, aveva sempre un significato simbolico, ma era subordinata alla struttura.
Gaudí concepì processi costruttivi inediti come il sistema di ponteggi riutilizzabili (Colonia Güell), l’abolizione dei muri maestri (Casa Milà), la costruzione dell’edificio incominciando dalla sua facciata (Sagrada Família). Secondo Jaume Serralonga, architetto collaboratore nella Sagrada Família, ciò che spinse Gaudí a inventare nuove soluzioni fu la ricerca di sintesi tra forma e funzione, per ottimizzare la meccanica delle strutture. Altre innovazioni furono i tetti utilizzati come terrazze e l’uso delle travi in cemento armato. Gaudí ricorse sempre a materiali reperibili nella sua regione. Svolgeva le sue ricerche nel laboratorio messogli a disposizione dal conte Güell nella colonia a Santa Coloma, insieme a un team multidisciplinare, totalmente votato all’innovazione. Per ogni opera, formava una squadra specifica, promuovendo l’integrazione tra artigiani maestri e apprendisti, e la collaborazione con specialisti di discipline lontane dalla sua. Il fondamento pragmatico del suo metodo di lavoro presupponeva il rifiuto assoluto dell’improvvisazione.
Gaudí si propose di raggiungere un ideale di bellezza che intendeva come splendore della verità, vincolata a Dio. Dedicò la sua vita allo studio e al lavoro, coltivando l’amore per la natura e il rispetto delle tradizioni popolari. In ogni sua opera vi sono riferimenti alla scala umana e a quella della natura, intesa come creato di Dio: la chiesa della Colonia Güell è in mezzo a un bosco e le colonne hanno forme arboree che rimandano alla corteccia degli alberi. Definì l’altezza della Sagrada Família in modo che si avvicinasse, ma senza superarla, alla collina di Montjuïc, la più alta di Barcellona. Lavorò per integrare tradizione e innovazione, tra preoccupazione sociale e anelito a Dio: la sua architettura doveva essere al servizio delle persone, funzionale ma ricca di vita, colore e movimento, ispirata dalla natura. «Per fare un’opera c’è bisogno prima di amore, e dopo di tecnica», non importa che fosse l’immenso tempio della Sagrada Família o l’oggetto più piccolo e umile, come la scatola di legno per accogliere il passaggio della corda di una battola per evitarne la rottura, che progettò con una particolare deformazione perché il campanaro era mancino.
Genio o pazzo, la storia ha risolto la questione: Gaudí era un genio, perché fu un uomo che ebbe un’idea audace e seppe portarla a termine. In qualche momento si spaventò perfino lui, arrivando a chiedersi se ciò che proponeva non fosse una follia. Sapeva che il suo proposito di diventare uno scienziato dell’arte doveva avere una logica schiacciante: «Non improvviso, calcolo ogni cosa, sono un geometra». Ma sapeva anche che da solo non avrebbe potuto farcela: fu il primo a incorporare nel suo team ingegneri, chimici, ottici, fisici, astronomi, vetrai, falegnami, ebanisti, fabbri, ceramisti, teologi, filosofi, scrittori, musicisti, politici, imprenditori, vescovi. Fu un precursore del R&D (Research & Development) perché sperimentava prima di innovare: dovette inventarsi un metodo di calcolo e una tecnica per dare forma e struttura alle superfici rigate, perché le macchine e i metodi esistenti non servivano. Gaudí fu innovatore anche come organizzatore di tutta l’impresa costruttiva. I documenti ritrovati rivelano la sua straordinaria capacità nel gestire i processi di lavoro e le risorse umane, dagli stock dei materiali alle norme per la sicurezza, l’igiene e la salute dei lavoratori. Ha ridefinito il ruolo dell’architetto come creatore che prende in mano le redini di tutte le risorse, al servizio di un obiettivo chiaro e definito, in continua interazione con i collaboratori, senza spazio per l’improvvisazione. Fu il precursore del coworking anche nell’affrontare ogni difficoltà con la totale convinzione del valore del capitale umano a disposizione: non aveva discepoli ma collaboratori, le persone per lui erano un valore in sé.

Al di là del fenomeno del turismo di massa che ogni anno porta milioni di visitatori a Barcellona, possiamo incominciare a comprendere perché Gaudí sia l’architetto con più opere dichiarate dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità se, insieme al suo metodo di lavoro, sappiamo comprendere il suo ideale: «L’arte è bellezza, la bellezza è lo splendore della verità, senza verità non c’è arte, e questa seduce il mondo».